Dare tono e colore alle parole con l’uso del fumetto: “Una conversazione difficile”

di Ingrid Aruanno di 2D – Scienze applicate

Di sera, la campagna si vestiva di un’atmosfera sospesa fra il calore del tramonto e la fresca brezza notturna. Le colline, adornate da filari di vigneti e campi dorati, sembravano sussurrare antiche leggende
mentre il sole, ormai morente, dipingeva di rosso e arancio le cime degli alberi. Su un’altura, quasi a dominare l’intera valle, si ergeva il palazzotto di Don Rodrigo. Le sue imponenti mura in pietra, robuste e
inespugnabili, si stagliavano contro il cielo, mentre i ricchi tendaggi alle finestre e le decorazioni intagliate raccontavano la storia di un potere consolidato e temuto da tutti.

All’interno, nella sala principale, il banchetto era in pieno svolgimento. La stanza, illuminata dalle fiamme danzanti di un grande camino, era colma di uomini festanti e servitori attenti, intenti a garantire il piacere
e il lusso della serata. Il brusio allegro degli ospiti, interrotto di tanto in tanto da risate sguaiate e tintinnii di coppe colme di vino, creava un’eco che si perdeva nelle antiche mura. Al centro di tutto, Don Rodrigo
sedeva in trono, il volto segnato da un’espressione di compiaciuta arroganza e gli occhi sempre attenti a ogni minimo dettaglio, come se volesse controllare ogni angolo della sua dimora.

Proprio mentre la musica e il clamore del banchetto raggiungevano il culmine, la pesante porta d’ingresso si aprì con un cigolio, attirando immediatamente l’attenzione di tutti i presenti. Varcando la soglia, Fra
Cristoforo fece il suo ingresso. Il frate, con il saio logoro ma pulito, camminava con passo deciso, quasi come se ogni suo movimento fosse scandito da una determinazione ferrea. I presenti si zittirono, e gli
sguardi si fissarono su di lui: in quel momento, l’aria sembrava caricarsi di tensione e attesa.

Don Rodrigo, che fino a quel momento aveva sorriso divertito guardando i suoi ospiti, si sporse in avanti, appoggiando il bicchiere sul tavolo riccamente imbandito. Con voce ironica e un sorriso beffardo,
chiese:

— E dimmi, frate, in che modo posso essere utile a un uomo di Dio come te?

Fra Cristoforo lo fissò intensamente, e il silenzio cadde come un sipario pesante sulla sala. Con uno sguardo che univa fermezza e disprezzo, rispose con voce calma e decisa:

— Sono venuto a porre una questione che trascende il banchetto e le frivolezze mondane. Il mio animo non può restare indifferente di fronte alle ingiustizie che, con il vostro nome, sono state perpetrate contro
innocenti e deboli.

Il viso di Don Rodrigo si fece serio per un attimo, tradendo una punta di preoccupazione, prima che l’aria di ironia riprendesse il sopravvento. Con un gesto teatrale, fece segno a uno dei suoi cortigiani di avvicinarsi.

— Ah, dunque, sei qui a fare la parte del paladino dell’umiltà? Raccontami, frate, quali furfanti hanno osato macchiare il mio onore?

Mentre i cortigiani sussurravano fra loro, Fra Cristoforo fece un passo avanti, stringendo le mani a pugno e facendo tremolare leggermente il volto per l’emozione del momento. La sua voce, ora intrisa di indignazione, risuonò chiara:

— Non si tratta di onore o di gloria, Don Rodrigo. La questione è ben più grave: un povero curato, umile servitore della fede, è stato ostracizzato e minacciato, mentre una giovane innocente viene ingiustamente trattenuta dalla sua libertà. È una vergogna che voi, il cui nome è sinonimo di potere, possiate tollerare tali soprusi!

Don Rodrigo, colto di sorpresa da tanta audacia, si sporse indietro nella sua sedia, osservando il frate con occhi che, tra l’amarezza e la sfida, tradivano un’improvvisa perdita di controllo. Con un tono che cercava di mascherare l’irritazione, replicò:

— Vedi, frate, che la mia protezione ha il suo peso e la sua utilità. Se ti sta a cuore questa vicenda, perché non accetti la mia of erta? Sotto la mia protezione, potresti vedere che la giustizia – per quanto essa possa essere interpretata – trova sempre il suo modo.

La sala si fece improvvisamente più fredda, come se il calore del banchetto fosse svanito davanti alla crudele realtà delle parole scambiate. Fra Cristoforo, con un gesto brusco, alzò le mani in segno di
rifiuto e indignazione. I suoi occhi, fissi e penetranti, non ammettevano compromessi:

La vostra “protezione” non è che una maschera per giustificare la vostra tirannia. Se davvero credete nella giustizia, allora non dovreste cercare di piegare la verità ai vostri voleri. Io sono qui per difendere i
deboli e non mi inchinerò a chi usa il potere per opprimere gli innocenti.

Un mormorio si diffuse tra gli astanti, alcuni visibilmente a disagio, altri divertiti dall’audacia del frate. Don Rodrigo si alzò lentamente, le mani appoggiate sul bracciolo del trono, e con un gesto lento e deliberato fece spallucce, come se volesse esprimere il peso della sua autorità:

— Attento, frate. Le tue parole sono forti, ma in questa casa, il potere si misura anche con i fatti. Non dimenticare che sei ospite, e non tutti i presenti apprezzeranno le tue critiche.

Con queste parole, il frate abbassò lo sguardo per un attimo, come se stesse raccogliendo le forze per continuare il suo discorso. Poi, con voce ferma, ribadì:

— Non mi inchino a ingiustizie mascherate da ordini. La mia coscienza mi impone di agire, e non mi fermerò finché non vedrò il bene prevalere.

Il confronto divenne allora un gioco di sguardi e gesti: Don Rodrigo fece un sorriso ambiguo, quasi derisorio, mentre i cortigiani osservavano in silenzio, divisi tra il timore e l’ammirazione per l’integrità del frate. Fra Cristoforo, con il volto rigido e gli occhi scintillanti di determinazione, fece un ultimo passo avanti, e in un tono che non ammetteva replica concluse:

— Se la vostra protezione è l’unica via per porre fine a queste ingiustizie, allora preferisco affrontare le conseguenze della mia scelta. Io non mi piegherò alla corruzione e alla prepotenza, anche se questo significa rischiare tutto.

Con queste parole, il frate si voltò e, con il mantello che ondeggiava dietro di lui, si diresse verso l’uscita. Ogni passo che compiva sembrava scandito dal peso della sua missione e dalla consapevolezza della battaglia che lo attendeva. Nel silenzio che seguì il suo abbandono, il banchetto riprese lentamente, come se il tempo stesso volesse dimenticare l’incontro, ma nei cuori di chi aveva assistito a quella scena rimase l’eco di una verità scomoda: la lotta per la giustizia non conosce compromessi.

Fu così che, in quella sera intrisa di contrasti, il palazzotto di Don Rodrigo divenne il palcoscenico di un confronto che andava ben oltre le mura di pietra, un dialogo in cui la voce della coscienza si oppose al
grido del potere, lasciando intravedere la possibilità di un cambiamento, per quanto incerto, nel destino di chi osava sfidare l’ingiustizia.

Un po’ più tardi, quando l’aria si fece più mite e la luce tremolante delle candele avvolgeva la stanza in un abbraccio caldo, Agnese accolse Fra Cristoforo nella modesta umiltà della sua dimora. Le pareti, spoglie ma accoglienti, riflettevano il contrasto netto tra la crudezza del potere e la fragilità della vita quotidiana. Sul piccolo tavolo di legno, una brocca d’acqua e alcune ciotole di semplice pietanza invitavano al conforto e alla sincera conversazione.

Agnese, seduta vicino alla finestra che dava sul cortile interno, sollevò lo sguardo verso il frate con occhi carichi di preoccupazione e una punta di rassegnazione. Il suo volto, segnato dalle fatiche di un quotidiano fatto di lotte silenziose e sacrifici, si illuminò appena al vedere l’incontro con il frate, simbolo di giustizia e speranza. Con voce sommessa, eppure ferma, chiese:

— Fra Cristoforo, il vostro ardore ieri sera contro Don Rodrigo…credete davvero che le cose possano cambiare?

Il frate si sedette di fronte a lei, lasciando che il silenzio del luogo e l’intensità del momento creassero un’intima complicità. Con mani leggermente tremanti per l’emozione, posò il saio sul grembo, e con
tono pacato rispose:

— Agnese, la mia fede mi insegna che la giustizia può nascere anche dai gesti più piccoli. Non posso promettere che Don Rodrigo cambierà all’istante, ma ogni parola detta, ogni ingiustizia denunciata, è un seme piantato per un domani migliore.

Mentre parlava, il frate guardava fuori dalla finestra, dove la luna alta sembrava ascoltare silenziosa. Agnese, stringendo le mani a grembo, sospirò e aggiunse:

— Eppure, la mia speranza vacilla ogni volta che mi rendo conto di quanto possa essere difficile sfidare chi detiene il potere. Quella sera, il suo sguardo…sembrava quasi vuoto, come se in lui non ci fosse spazio per il rimorso.

Fra Cristoforo inclinò leggermente la testa, e con un tono che tradiva la consapevolezza dei mali del mondo replicò:

Il potere, Agnese, spesso si nutre delle debolezze altrui e dell’indifferenza. Ma noi non dobbiamo cedere alla disperazione. Ogni atto di coraggio, per quanto piccolo, può innescare una reazione a
catena. La vostra fiducia e il vostro sostegno sono preziosi, perché ricordano a chi ha il potere che anche le voci degli umili meritano di essere ascoltate.

La donna, con gli occhi lucidi, annuì lentamente. Con un gesto quasi materno, si avvicinò e posò una mano sulla spalla del frate. Il contatto era un misto di conforto e d’incoraggiamento, una silenziosa promessa di non abbandonarsi all’oscurità.

Io credo in voi, fra Cristoforo — disse Agnese con voce rotta dall’emozione — e prego che la vostra determinazione possa illuminare questo buio. Nonostante la crudele realtà, il vostro esempio mi dà la
forza di sperare in un domani in cui giustizia e umanità prevalgano.

Il frate sorrise debolmente, riconoscendo nella semplice sincerità di Agnese un riflesso della fede che lo aveva sempre guidato. Con occhi fissi nel vuoto, quasi comunicando un silenzioso patto, rispose:

— La speranza è il nostro faro, Agnese, anche nei momenti più oscuri. Non mi tirerò indietro, perché so che ogni passo in avanti, anche se impercettibile, allontana un po’ l’ombra dell’ingiustizia.

Per qualche istante, il tempo sembrò sospendersi, lasciando spazio a quella breve parentesi in cui il dialogo e la comprensione reciproca erano più forti di ogni timore. La luce delle candele tremolava
dolcemente, come se volesse confermare il patto di coraggio e speranza che si era instaurato tra i due.

Così, in quella serata tranquilla, mentre il mondo fuori continuava a scorrere tra le luci e le ombre di una realtà implacabile, Agnese e Fra Cristoforo ritrovarono, nel calore di una sincera confidenza, la forza
per affrontare il domani. Una forza fatta di piccole ma significative resistenze, di parole dette con il cuore e di una fede incrollabile nella possibilità di cambiare il destino di chi si batte per la giustizia.

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