Epochè, la sospensione del giudizio come antidoto alla disperazione del prospettivismo

Pubblichiamo l’elaborato di Sabrina Piazzolla, di classe 5AC – Coreutico, vincitrice della selezione d’istituto del XXIII Campionato di Filosofia Philolympia con traccia di ambito gnoseologico a partire da un passo dei Frammenti postumi 1886-’87 di Friedrich Nietzsche.

Analizzando la teoria della conoscenza, in particolare la gnoseologia moderna, che, a partire dal cogito cartesiano, si interroga sulla modalità in cui effettivamente l’essere umano si relaziona all’oggetto conosciuto, è evidente come quest’ultimo venga appreso in maniera differente in base al soggetto conoscente che si appresta a conoscerlo.

La sensibilità umana è il primo elemento che non permette all’uomo il raggiungimento di una conoscenza certa e oggettiva, in quanto i sensi ingannano e restituiscono solo la parvenza illusoria della realtà, il cosiddetto fenomeno, pertanto egli non è in grado di constatare il “fatto in sé”, quindi kantianamente parlando, il noumeno.

É dunque evidente come la possibilità di concepire una visione dualistica della realtà non sia del tutto insensata: dall’idealismo platonico, e dalla contemplazione di “forme” ideali e immutabili, muove infatti l’impostazione gnoseologica kantiana.

Immanuel Kant, ribaltando il rapporto tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto, individua quei limiti conoscitivi oltre cui l’essere umano non può spingersi, e che non gli permettono di conoscere la realtà noumenica che, in quanto inconoscibile, è intesa come un concetto-limite.

Tuttavia, potrebbe essere possibile superare la realtà fenomenica e approdare a quella noumenica: scoprire l’autentica verità, che è nascosta, è un processo contemplato sin dalla filosofia antica. I greci parlano, infatti, di “aletheia”, scoprire il velo della menzogna, il medesimo che successivamente, in una visione schopenhaueriana, verrà squarciato. Per il filosofo di Danzica, Arthur Schopenhauer, infatti, l’uomo, in quanto essere interrogante, percepisce la propria corporeità e in tal modo può giungere alla realtà in sé, squarciando il cosiddetto “velo di Maya”, la proiezione illusoria che egli stesso si costruisce fittiziamente, la realtà fenomenica.

Tale visione dualistica della realtà viene, invece, criticata e totalmente decostruita dal filosofo idealista Friedrich Hegel che, con la sua visione organicistica della realtà, intende quest’ultima razionalmente, in un processo dialettico di cui l’Idea è protagonista. 

Essa, ripercorrendo i momenti fondamentali della storia dell’umanità, giunge a farsi Spirito, dunque al Sapere Assoluto.

Quanto esposto si esplica, tuttavia, su un piano puramente ideale, quasi utopico, in cui il soggetto, inteso astrattamente, diviene predicato del suo pensiero: si assiste così all’inversione dei termini del discorso, dunque allo smarrimento dell’io e alla svalutazione della sua concretezza.

Pertanto «È infine necessario mettere ancora l’interprete dopo l’interpretazione?». Sarà in tal senso che Ludwig Feuerbach, esponente della sinistra hegeliana, contesterà l’idealismo hegeliano, e ristabilirà il rapporto tra concreto e astratto, soggetto e pensiero, accusando Hegel di averne inteso erroneamente la relazione, ribaltandola. Si restituisce in tal modo al soggetto la propria concretezza e la propria dimensione materiale.

Sulla base di ciò è come se nel fluire magmatico e continuo della “vita” l’individuo si dia una “forma”, un’identità precisa che egli stesso si costruisce fittiziamente e con la quale decide di esporsi nel contesto sociale in cui è inserito, dunque nelle relazioni che intrattiene con l’altro. Tuttavia, proprio mentre il soggetto si percepisce cristallizzato nella propria identità, non riflette sulla possibilità che quest’ultima possa essere fraintesa e interpretata in maniera differente dagli altri individui con cui entra in relazione; così, percepito sempre diversamente, egli giunge alla consapevolezza che la sua identità, o la “maschera” che si era costruito, è in realtà fallace, e che sotto di essa si nasconda “nessuno”.

É questo un nodo esistenziale cruciale, proposto dal letterato italiano Luigi Pirandello, che potrebbe essere risolto nella disperazione che comporta lo smarrimento della propria identità, nell’estraneazione dal contesto sociale in cui ci si inserisce; o invece nella comprensione di poter, in tal modo, giungere ad una libertà totale, svincolata da qualsiasi condizionamento esterno, e pertanto ad un vitalismo sfrenato, in cui ci si immerge ormai privi di quella “forma” che ci si era socialmente costruiti.

Si potrebbe quindi dedurre che il mondo è conoscibile, «ma esso è interpretabile in modi diversi, non ha dietro di sé un senso, ma innumerevoli sensi»: è questa una visione affine al “Prospettivismo” che potrebbe tuttavia facilmente sfociare nello scetticismo.

La coltivazione del dubbio costante da parte dell’uomo, l’indeterminatezza delle proprie capacità conoscitive e l’impossibilità di definizione della propria identità, porta infatti alla totale incertezza conoscitiva e percettiva.

Pertanto non si può far altro che sospendere il giudizio, aderire all’”epochè”, riponendo la speranza in un’ideale e fittizia costruzione della realtà, per evitare che, consapevoli della misera natura umana, si giunga ad un’inevitabile disperazione e alla crisi di tutte le certezze.

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