Pubblichiamo il racconto umoristico di Domenico D’Addato della classe I B del Liceo “Da Vinci” di Bisceglie, indirizzo scientifico, che si è guadagnato la menzione di merito al Concorso Letterario Nazionale indetto dall’Accademia degli Oscuri di Torrita di Siena.
Era una giornata nuvolosa di metà marzo, tra le nuvole striate di bianco si intravedeva uno strappo di cielo da cui sbucava un timido raggio di sole che illuminava la città di Bologna. Le macchine sfrecciavano come al solito, con al volante persone sempre in ritardo; nell’aria si respirava l’odore dell’inizio della primavera che si camuffava tra lo smog.
Nel pieno centro della città svettava tra i palazzi uno dei più importanti e rinomati licei scientifici di Italia, il famosissimo “S. Appiastro”, frequentato, come si può bene intuire, dalle migliori giovani menti bolognesi. Da ormai qualche anno, anche io avevo deciso di mettermi alla prova, scegliendolo come la mia scuola. Ero a conoscenza del fatto che sarebbe stata una grande sfida per me, poiché il liceo era conosciuto da sempre come centro di estrema disciplina, grazie all’amministrazione del suo preside Giovanni Strappia, tra i più rispettati letterati del capoluogo.
Quella stessa mattina, mi apprestavo ad arrivare a scuola accompagnato dalla mia ristretta cerchia di amici. Nel mio gruppo siamo in quattro: Marco, un ragazzone alto e robusto, non particolarmente perspicace ma molto simpatico; “le gemelle”, identiche e telepatiche, motivo per il quale parlano e si muovono in contemporanea e vivono in simbiosi, chi non le conosce bene non le distingue per quanto siano una cosa sola; e poi ci sono io, creativo e imprevedibile, non penso di avere altre caratteristiche particolari, ma mi faccio volere bene da tutti, anche chi non mi conosce ha un buon pensiero di me.
Approdati nel cortile principale, subito notammo un’aria di dissenso di massa, inusuale. I visi di tutti erano preoccupati e sorpresi, il caos regnava tra i corridoi e persino gli insegnanti non sapevano come placare la folla. Era stata stampata e affissa dappertutto una nuova strana regola, c’era almeno un cartello in ogni angolo visibile e fin dalla periferia della città, ora si potevano sentire le voci strepitanti degli alunni contrariati che leggevano:
“In seguito ad una riunione d’eccezione in cui ha avuto modo di intervenire il ministro dell’Istruzione, la seguente direttiva è stata concordata: dalla giornata di domani, 18/03/2024, sarà severamente vietato indossare indumenti con lo strappo, rattoppati o strappati, inclusi magliette, pantaloni, scarpe e giacche. Qualsiasi cosa mostri anche soltanto una chiusura a strappo, sarà bandita da tutta l’area del Liceo Scientifico S. Appiastro.
firmato
Il Preside Giovanni Strappia
E il collegio docenti”.
In un primo momento, i miei amici ed io pensammo che una regola così assurda non potesse essere altrettanto duratura e per i giorni successivi provammo a seguirla quasi alla lettera assistendo alle diverse note e punizioni per chiunque non lo facesse. Con l’avanzare del tempo però la situazione sembrò sfuggire di mano: arrivarono punizioni in seguito a zaini danneggiati da animali domestici, magliette con stampe di strappi e una mattina Marco ci raccontò di aver visto una nostra compagna essere rimproverata per dei graffi sulle braccia.
La nostra libertà ci era stata strappata via.
A questo punto, decisi che dovevamo intervenire. Era il 24 marzo, esattamente sei giorni dopo, quando fondammo “LSDS: la squadra dello strappo”. I ruoli erano chiari: Marco il braccio, quello che serviva alla squadra per la sua forza e il coraggio di riuscire a fare qualsiasi cosa a qualsiasi prezzo. Guardarlo negli occhi trasmette sicurezza, anche nelle situazioni più al limite. Le due gemelle, la mente, sono molto intelligenti e trovano il modo per fare qualsiasi cosa escogitando piani complessi che nessuno, se non loro, riesce a seguire.
Io? Io sono il “genio”, colui che fornisce le idee, tra cui quella di formare la squadra e quella del nome che ho strappato da una serie televisiva poco conosciuta.
Sapevamo di non essere tra i più popolari della scuola, ma questo spesso andava a nostro vantaggio perché pochi erano quelli che ci conoscevano e i professori non si sarebbero mai aspettati nulla di cattivo da parte nostra. Invece eravamo (e siamo ancora) dei ribelli e non ci saremmo adeguati senza almeno delle spiegazioni.
Avevamo un piano semplice ma efficace, ideato come sempre dalle gemelle: “domani”, dicevano in contemporanea “dobbiamo fare uno STRAPPO ALLA REGOLA, sarà la nostra Operazione Strappo,”. Era tutto chiaro, dovevamo vestirci solo con ciò che era proibito dalla nuova direttiva.
Il giorno dopo mi svegliai euforico, pronto per iniziare la missione. Ero fuori casa ad aspettare che, come ogni giorno, le gemelle passassero in macchina per darmi uno strappo a scuola. Eravamo entusiasti ma bisognava mantenere la serietà, come dei veri agenti segreti.
Appena arrivati notammo Marco, più felice del solito, ma vestito in modo normale, non indossava nulla di ciò che era proibito, non aveva neanche le sue scarpe a strappo preferite. Eppure disse soddisfatto: ‘’Tranquilli ragazzi, ho letteralmente portato a termine il nostro piano”.
Ci guardammo straniti, ma passò poco prima di realizzare cosa fosse realmente accaduto: Marco aveva strappato tutti i cartelli con su scritta la fantomatica regola! Non ne era rimasto intatto neanche uno. Frammenti di carta strappata e accartocciata tappezzavano i corridoi e lui, imbambolato e fiero di sé, non aspettava altro che la nostra riconoscenza.
Un fraintendimento era l’unica cosa che avrebbe potuto mandarci fuori strada e così era stato! Un gioco di parole che mai sarebbe riuscito così bene se solo l’avessimo fatto apposta.
Io e le gemelle eravamo arrabbiatissimi con Marco, gli abbiamo spiegato come sarebbe davvero dovuta andare: “Dovevamo soltanto vestirci con indumenti proibiti, lo strappo dei nostri piani era solo figurato”.
“Sì, un semplice strappo alla regola”, replicai io distrutto.
Niente da fare, non solo il nostro piano non era riuscito, ma aveva peggiorato la situazione: il preside era furibondo, così fece riaffiggere tutti i divieti già il giorno dopo scoraggiando i vandali con minacce serie.
Tuttavia, mentre Marco si rendeva conto di ciò che il suo errore aveva generato, le gemelle erano già pronte con un nuovo piano: ‘’A questo punto, non ci resta che continuare a strapparli tutti finché il preside non ce la darà vinta’’, dissero per motivarci, così subito ci siamo messi all’opera: l’abbiamo fatto, rifatto e rifatto ancora e nel frattempo notavamo il consenso di tutti i nostri coetanei che si dicevano ispirati e ammirevoli nei confronti di chiunque fosse il responsabile. Ci SentivAmo TRoPPO forti!
Un giorno Marco stava persino per essere colto in flagrante dal preside, ma fortunatamente l’ho strappato via da quella situazione che avrebbe potuto metterlo nei guai. Neanche questo ci fermò.
L’abbiamo fatto, rifatto e rifatto ancora, finché il preside, sfinito, non intervenne un’ultima volta. Non si preoccupò neanche di elaborare un comunicato ufficiale. Scrisse di getto e fece stampare e affiggere sul muro di fronte all’ingresso il seguente avvertimento: “Ne ho abbastanza di questi strappi, chiunque abbia qualcosa in contrario alla mia regola è invitato a palesarsi domani mattina, durante l’intervallo, nel mio ufficio. Il Preside Giovanni Strappia.”, si leggeva fin dall’esterno, attraverso la porta di vetro lucido.
Leggendo quelle parole, fu Marco a convincerci dell’idea che fosse arrivato il momento di affrontare il preside e chiedergli di abolire la regola. Nonostante non fossimo sicuri, guardandolo negli occhi ci trasmise fiducia e coraggio.
Entrammo nell’ufficio e il preside ci guardò per qualche minuto prima di capire che eravamo proprio noi i colpevoli dell’accaduto. Poi cominciò: “Ragazzi, ciò che avete fatto mi ha profondamente amareggiato. Non solo avete violato una regola, ma avete anche vandalizzato la nostra scuola.’’
In quel momento, nonostante avessimo previsto che fosse furioso, le sue parole così dirette spensero tutta la nostra determinazione. Non ci guardava neanche negli occhi mentre parlava: era di spalle, teneva stretti i pugni dalla rabbia e camminava avanti e dietro, vicino alla sua scrivania senza neanche notare le nostre facce pietrificate. Sembrava ci tenesse sotto un incantesimo e, mentre lui parlava, dimenticavamo il motivo che ci aveva spinto fin lì e ci rendevamo conto delle conseguenze che avremmo dovuto affrontare, di tutti i soldi sprecati per colpa delle nostre bravate, di tutti coloro che avevano rischiato di essere incolpati al posto nostro, del tempo perso a cercare di far cancellare una stupida regola, stupida forse come tutto quello che avevamo fatto. Mi guardavo intorno e anche le gemelle sembravano avere la mia stessa espressione e fissavano il pavimento sconsolate.
Sembrava la fine quando all’improvviso una voce esclamò: “Ma signor Preside Strappia, non le sembra di star esagerando? D’altronde, è stato solo un piccolo strappo alla regola.’’
Nella stanza calò il silenzio, io pensavo al peggio e neanche guardare Marco negli occhi riusciva a tranquillizzarmi. Il preside si immobilizzò, non era chiaro il motivo e non sapevamo se stesse per scoppiare come una pentola a pressione o se semplicemente non sapesse che dire.
A rompere il silenzio tombale fu un’inaspettata risata, una risata mai sentita: infatti, non era di nessuno dei miei amici, era del preside i cui occhi si erano illuminati all’improvviso come se fosse perso in un ricordo passato e al quale eravamo riusciti a strappare una risata! Tutta la rabbia scomparve e divertito dal gioco di parole, non solo ci mandò a casa, ma da quel giorno decise di eliminare la regola.
Nella nostra mente è rimasto sempre il pensiero che per qualche istante il preside fosse stato ispirato dal coraggio e dall’irriverenza di Marco, e che noi con i modi tipici dei ragazzi della nostra età, gli avessimo ricordato gli ideali e il senso di ribellione della gioventù dei suoi tempi. Sta di fatto che poco dopo tutto divenne solo un ricordo allegro, le macchine tornarono a sfrecciare e la gente tornò ad essere sempre in ritardo, nell’aria si respirava il polline dei fiori e si sentivano gli starnuti delle allergie proprio come in ogni primavera.
Anche se nessuno ha mai saputo le nostre identità, La Squadra dello Strappo rimase leggendaria nel nostro liceo e, ancora oggi, siamo sicuri che nessuno avrebbe potuto mai scordare l’accaduto.
